Jessica era appena arrivata, tutta affannata. Stava per perdere la corsa, per fortuna aveva trovato un autista disposto ad aspettarla. Un gesto gentile ogni tanto era ben accetto. Andò dritta in cucina, dove Marie stava pelando le patate e sul fornello un grosso pentolone bolliva. Quel giorno era il turno della zuppa di cavolo per primo, patate arrosto e merluzzo al limone. Jess si mise immediatamente all'opera. Erano conteggiati circa 115 pasti. Strano, perchè il venerdì se ne contava sempre e solo 114. Jess era curiosa di sapere chi fosse il nuovo arrivato.
Cosa ci faceva lì ancora non lo sapeva. Le sue gambe quel giorno si erano recate all'edificio in Brunelleschi Street, ma era come se avessero avuto volontà propria. Fatto sta che aveva messo il nominativo in quell'elenco e di certo un pranzo non poteva fargli che bene. Era estenuante girovagare per la città tutto il giorno, incrociare mille volti senza che nessuno si soffermasse a guardarlo veramente. I suoi zigomi troppo pronunciati e le labbra viola portavano i segni del freddo dicembre che avvolgeva Boston.
“Entra ragazzo, fuori si crepa” gli disse un buffo ometto.Mac accettò volentieri e subito venne riscaldato dal calore della mensa.
“Io mi chiamo John. Non ti ho mai visto prima” gli chiese il simpatico anziano.
“Sono nuovo, mi chiamo Mac” ribatté Mac
“Sono nuovo, mi chiamo Mac” ribatté Mac
“Ben arrivato”.
Si sedettero vicino, e Mac ebbe l'impressione che anche per John era confortante. Alla Brunelleschi Center Canteen era sentito dire fosse un posto per anziani ormai che avevano perso tutto, anche le forze e la voglia di combattere per far valere i loro diritti, per riacquistare la fiducia della società che ormai li vedeva come animali da governare. Non era semplice essere povero. Uno pensava che bastava non avere niente e approfittarsi della generosità dei più caritatevoli. E no si sbagliavano in toto. Essere poveri voleva dire essere bersaglio per i malumori generali, il capo espiatorio se la politica interna di un luogo andava piuttosto male, essere visti come lebbrosi emarginati senza speranza, e uno perdeva la propria integrità e dignità e non c'era cosa peggiore. Mac era finito in quella situazione ormai da dieci anni, e non sapeva chi incolpare. Certamente nessuno osava puntare il dito su un bambino di tredici anni abbandonato il giorno della vigili di Natale dalla propria madre incosciente alla stazione centrale. I servizi sociali si erano mobilitati nella ricerca di parenti, padre e porci. Nessuno era intenzionato ad accettare un bambino così problematico. Era finito ad un Istituto aspettando la maggiore età, e ormai era abbastanza grande da non dover dipendere dalle cure di un orfanotrofio. Solo che Mac non aveva niente in mano, il suo unico scopo nella sua vita era sopravvivere, trovare un pasto giornaliero, almeno uno.
“Oggi c'è la ragazza giovane, Jess, a servire. Lei è una brava ragazza” gli disse John.L'aveva notata anche lui, tutti i giorni mentre andava all'università, la guardava. Era bella senz'altro ma aveva un che di speciale. I loro sguardi non si erano mai incrociati per fortuna. Mac avrebbe affrontato anche l'umiliazione di dover mangiare ad una mensa per poveri se fosse servito per vederla. Non per forza lei doveva sapere chi fosse o perchè era lì, lei tanto era lì per servire e rendere piacevole un pasto a quegli anziani, non per notare lui.Dopo il primo, che doveva ammettere era buono e nutriente, stavano aspettando tutti il secondo. Jessica si era dedicata al tavolo 1, quello più lungo. Mac la guardava che stringeva la mani ad una signora o sorrideva ad un'altra ed era una cosa che lo riempiva dentro.
Finalmente arrivò lei a servire il pesce e Mac capì cosa stava cercando guardandola solamente, in un vita fatta si stenti e disagi. Era lei, e avrebbe fatto di tutto per cambiare le sue carte in tavola...
“Ciao Jess” la salutò John.“Ciao John, come va oggi? Il ginocchio ti fa ancora male?”“Ehm, .. sì, tantissimo. Ce l'hai ancora quella pomata miracolosa?” e Josh strizzò l'occhio a Mac per fargli capire che era una balla colossale. Vecchia volpe!“Certo, dopo mi fermo e ti faccio un massaggio.”
“Sei un angelo Jess. Ah, ti presento il mio nuovo amico. Si chiama Mac ed è innamorato di te e ha bisogno anche lui di un tuo massaggio, anche se suppongo ciò che ha da guarire sia il suo cuore. Ma tu sei una fatina e quindi hai un rimedio anche per lui, giusto?”“Sei un angelo Jess. Ah, ti presento il mio nuovo amico. Si chiama Mac ed è innamorato di te e ha bisogno anche lui di un tuo massaggio, anche se suppongo ciò che ha da guarire sia il suo cuore. Ma tu sei una fatina e quindi hai un rimedio anche per lui, giusto?”“Ovvio. Ciao, io mi chiamo Jessica” si presentò lei. Quando Mac gli strinse la mano sentì un formicolio salirgli dalla mano fino al cuore e al ventre e poi in tutti i distretti del suo essere.
“Piacere sono Mac.” e guardò torvo John, per fargli capire che ne avrebbe pagato le conseguenza del suo numero di poco prima.“Piacere sono Mac.” e guardò torvo John, per fargli capire che ne avrebbe pagato le conseguenza del suo numero di poco prima.Prima di andarsene, Jessica si sporse e sussurrò a Mac “La mattina è presto stare fuori all'università. Ti merita entrare e poi chissà, potresti cercare ciò che cerchi”.Lei sapeva, lei aveva capito e lei se n'era accorta.
Da quel giorno Mac tornò dapprima tutti i venerdì e infine tutti i giorni per lei, e lei ogni mattina gli apriva la porta dell'ingresso all'università.
-Vidhya Meoni
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